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L’industria alimentare pugliese ai tempi del covid 19


«L’industria alimentare pugliese, a causa del covid 19 e dei lockdown, rileva un aumento della domanda di consumi domestici. I cali maggiori di fatturato (fino al 98%) si registrano in quella parte del settore (ortofrutta, vino, birra, caffè, caseario) più legata a bar, hotel, ristoranti (Ho.re.ca). In affanno ma più stabili le aziende più grandi, che riforniscono commercio al dettaglio e grande distribuzione (gdo) e che producono prodotti di prima necessità». La situazione del comparto regionale, insomma, secondo il presidente di Confindustria Puglia, Sergio Fontana, è in linea con il nazionale. Infatti, secondo il recente rapporto Ismea, realizzato per Federalimentare sui bilanci di 6.400 imprese dell'alimentare made in Italy, l’Ho.re.ca è in caduta libera, compensato dai consumi domestici. Il bilancio della spesa finale per prodotti agroalimentari nel 2020, pertanto, è stimato a -12%. Il 78% delle imprese italiane del settore tiene bene (42%) o con lievi problemi di liquidità (36%). E il Sud è l'area con le imprese più robuste (45%), sia pur per poco. Parliamo di un settore, riferisce Ismea, che ha creato nel 2019 il 4% del valore aggiunto italiano, poco più della metà nel primario e il resto nell’industria alimentare, e il 6% dell’occupazione nazionale, 1,4 milioni di lavoratori, di cui 903 mila in agricoltura, silvicoltura e pesca, e 473 mila nell’industria alimentare. Tra il 2014 e il 2019 si è rivelato il settore più dinamico dell’economia italiana, in particolare al Sud e grazie soprattutto alla fase industriale.

Anche in Puglia resta tra i settori più dinamici?

«Sì. È trainato da realtà imprenditoriali che hanno diversificato la produzione, combinando le materie prime di cui dispone la regione con l’innovazione tecnologica. Ha risposto così a nuove nicchie di mercato, convertendo interi stabilimenti e incentrando il business nell’innovation food (si pensi alla produzione del senza glutine)».


Il covid ha frenato un made in Italy in corsa nei primi tre mesi dell’anno (+10,4%).

«Anche la dinamica del food pugliese era molto buona: l’export nel primo trimestre su base annua aveva registrato 16 milioni di euro in più per prodotti alimentari e 15 dell’agricoltura. In seguito, il trend si è destabilizzato. La pandemia ha pesato prima sui mercati nazionali (quindi chi lavorava con l’estero fino a fine aprile era riuscito a mantenere entrate considerevoli) e, anche in questo caso, ha fermato soprattutto le imprese legate ai settori Ho.re.ca o Mice (meetings, incentive tour, conference ed esposizioni), meno quelle attive nel retail e nella gdo».

Si avvicina il periodo natalizio, in cui, in tempi di non pandemia, le imprese di trasformazione legate all’Ho.re.ca riuscivano a consolidare i fatturati.

«L’agroindustria a dicembre partecipa al Pil nazionale e anche pugliese in modo decisivo. C’è enorme attesa sulla possibilità di una riapertura dopo il 3 dicembre. Altrimenti molte aziende si troverebbero in difficoltà. Per questo, in più occasioni, abbiamo auspicato interventi di ristoro, per tamponare quei costi fissi industriali che, in questo periodo di chiusure, a prescindere dai colori delle zone, continuano ad aggravare le perdite accumulate».

Giuseppe Daponte


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