L’industria alimentare pugliese ai tempi del covid 19
Anche in Puglia resta tra i settori più
dinamici?
«Sì. È trainato
da realtà imprenditoriali che hanno diversificato la produzione, combinando le
materie prime di cui dispone la regione con l’innovazione tecnologica. Ha
risposto così a nuove nicchie di mercato, convertendo interi stabilimenti e incentrando
il business nell’innovation food (si pensi alla produzione del senza glutine)».
Il covid ha frenato un made in Italy in corsa
nei primi tre mesi dell’anno (+10,4%).
«Anche
la dinamica del food pugliese era molto buona: l’export nel primo
trimestre su base annua aveva registrato 16 milioni di euro in più per prodotti
alimentari e 15 dell’agricoltura. In seguito, il
trend si è destabilizzato. La pandemia ha pesato prima sui mercati
nazionali (quindi chi lavorava con l’estero fino a fine aprile era riuscito a
mantenere entrate considerevoli) e, anche in questo caso, ha fermato
soprattutto le imprese legate ai settori Ho.re.ca o Mice (meetings, incentive
tour, conference ed esposizioni), meno quelle attive nel retail e nella gdo».
Si avvicina il periodo natalizio, in
cui, in tempi di non pandemia, le imprese di trasformazione legate all’Ho.re.ca
riuscivano a consolidare i fatturati.
«L’agroindustria
a dicembre partecipa al Pil nazionale e anche pugliese in modo decisivo. C’è enorme
attesa sulla possibilità di una riapertura dopo il 3 dicembre. Altrimenti molte
aziende si troverebbero in difficoltà. Per questo, in più occasioni, abbiamo
auspicato interventi di ristoro, per tamponare quei costi fissi industriali che,
in questo periodo di chiusure, a prescindere dai colori delle zone, continuano
ad aggravare le perdite accumulate».
Giuseppe Daponte
Commenti