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Carnevale di Putignano, il cartapestaio che non sapeva perdere





È tra i cartapestai più talentuosi del Carnevale di Putignano. Negli ultimi 12 anni, i carri di Deni Bianco sono arrivati 10 volte primi e due volte secondi. È anche tra i maestri più giovani. «Ho iniziato questo lavoro 31 anni fa – dice – Avevo 12 quando mi avvicinai agli hangar dove si costruiscono i carri. Poi, dopo anni di collaborazioni e società, ho aperto la mia bottega e da 13 anni ho un mio gruppo esclusivo, cArteInRegola».


 Professione, scenografo a tempo pieno: «È un’attività che mi gratifica e mi sostiene molto bene economicamente. I miei lavori sono sempre in cartapesta, a meno che ci siano richieste diverse. È il materiale che preferisco, anche se oggi ce ne sono altri». Tra queste, la consegna di una ventina di scenografie - tutte in carta pesta - usate per il tour «Prisoner 709» del cantante Caparezza, che ne ha portate in scena una per ogni canzone. «Il mio lavoro mi tiene impegnato tutto l’anno. Fatta eccezione per la parentesi del Carnevale, che è un’istituzione inviolabile! Da ottobre, ossia da quando è emanato il bando del concorso dei carri, fino alle sfilate, i miei clienti sanno che sono impegnato».

Quest’anno come andrà a finire il concorso? «Non so. I maestri cartapestai sono tutti bravi. In ogni caso, siamo già felici per aver fatto ciò che avevamo in mente, il carro ci è venuto molto bene. Ma anche di esserci spesi per Putignano. Ci piace la scommessa di fare qualcosa che susciti emozioni. L’affluenza e la risposta del pubblico finora mi sono sembrate molto positive, come l’anno scorso. Sono arrivati tantissimi apprezzamenti per uno spettacolo che vale senz’altro il prezzo del biglietto, con ben sette carri, macchine sceniche impressionanti. Un grande teatro pagherebbe non so quanto per averle. E magari riusciamo a stimolare pure una riflessione su temi di attualità».

Anche i carri di Deni, infatti, ripercorrono, con tono sempre ironico, temi di forte impatto sociale negli ultimi decenni della storia d’Italia. Nel 2007, ad esempio, con «L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro… precario», ha rappresentato nelle vesti di uno spaventapasseri i giovani lavoratori dell’era co.co.co, assaliti dai corvi neri del mercato del lavoro. Nel 2010 con «20000 Beghe sotto i mari» ha puntato i riflettori sulle navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi affondate nel Mediterraneo. Un altro carro, «Falstaff. Ride ben chi ride la risata finale», nel 2014 è finito immortalato anche su francobollo della Repubblica italiana. Nel 2017 ha vinto il primo posto con «Selfie della gleba», carro-metafora di un’umanità ipnotizzata da un mondo virtuale che accarezza il suo ego, fino a renderlo mostruoso. Nel 2018, ha vinto con «Odissea nello strazio», un imponente cavallo di Troia, da cui scendono guerrieri greci, lo stratagemma ideato da Ulisse per invadere e sconfiggere la città di Troia. «L’idea di farlo c’era da tempo. Ho approfittato del tema degli “eroi” proposto dalla Fondazione per svilupparlo. Rievoca le gesta di un eroe vero, disposto a sacrificare la vita per degli ideali. Mentre nella società odierna stentiamo a trovare eroi pronti a lottare per le grandi conquiste dell’umanità, mentre se ne trovano tanti finti, sfornati dai mass media».
L'anno scorso, ancora primo, con «Chi è senza peccato scagli la prima mela», rivisitazione del celeberrimo bacio (Der Kuss) di Gustav Klimt. Un bacio vincente, contro odio, paure e omofobia.

 Giuseppe Daponte, Corriere del Mezzogiorno

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