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La memoria dell'acqua

Non ci sono prove sulla capacità dell’acqua di mantenere un «ricordo» delle sostanze con cui viene a contatto, tesi propugnata per la prima volta dall’immunologo francese Jacques Benveniste. Ma al regista Patricio Guzmán ciò non interessa. A prescindere dalle leggi scientifiche, l’acqua, per lui e per chi sa ascoltarla, ricorda, racconta e contribuisce a formare le culture.

Soprattutto nel suo Paese, il Cile, il più vasto arcipelago nel Mondo, con 2.670 chilometri di coste. Per questo, nel suo documentario, intitolato appunto “La memoria dell’acqua”, Orso d’argento per la sceneggiatura a Berlino nel 2015, prende le mosse da questo elemento primigenio per narrare la storia della sua terra. Parte da lontano, dalla preistoria e da una scienza che proprio in Patagonia trova terreno fertile, l'astrofisica. Non a caso il film, in proiezione lo scorso 27 aprile, è stato seguito da un incontro con Marcella Marconi, direttore dell'Osservatorio astronomico di Capodimonte.

L’obiettivo di Guzmán scivola dallo spazio siderale al Pacifico e alla Patagonia. E si sofferma sulle sue isole e sul mare che le circonda e unisce, culla di una civiltà ormai quasi scomparsa (ne restano solo una decina di discendenti), il popolo nomade dei Selknam, che da 10 mila anni viveva in quei luoghi. Ma a fine 800 i nativi furono sterminati da cercatori d'oro e allevatori del Cile, e per mano di spagnoli, croati, francesi, italiani e inglesi.

Nella pellicola, poi, le acque del Pacifico fanno da liaison a un altro crimine contro l'umanità, quello del dittatore Pinochet, perpetrato, dopo il colpo di Stato dell’11 settembre del 1973, nei confronti di cittadini inermi, considerati oppositori del regime. Molti desaparecidos furono lanciati dai velivoli nell'oceano, perché i familiari non avessero nemmeno una tomba per piangerli. Ma a rompere il silenzio è “un bottone di perla” (titolo originale del film), trovato nei fondali, tra le incrostazioni marine, su una barra di rotaia che avrebbe dovuto nascondere per sempre la verità.
Il mare ha restituito il ricordo di uno dei tanti massacri, dopo averne custodito per anni la memoria. Un po’ come Guzmán con i suoi documentari. 

Giuseppe Daponte, dal Corriere del Mezzogiorno, Speciale Bifest

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