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L'omaggio a The Fabulous Trickster


Da sinistra, Antonio Infantino, Monica Berardinelli e Luigi Cinque

«Non siamo più nella civiltà dell’ascolto ma della videocrazia. La musica, oggi più che in passato, ha bisogno di essere non solo ascoltata ma anche narrata e vista, attraverso il romanzo, il racconto e il cinema. La musica ha bisogno in parte di tradirsi, di far leva su questi mezzi, per sopravvivere e restare se stessa». Ne è convinto Luigi Cinque, interprete della frontiera dei linguaggi come musicista, compositore e strumentista (che spazia dal jazz alla tradizione classica e mediterranea) e come scrittore e regista. Non a caso Cinque ha voluto tradurre in cinema l'eredità musicale (e umana) di Antonio Infantino, poliedrico e mai abbastanza celebrato musicista, poeta e artista lucano. Ne è nato «The Fabulous Trickster» (produzione Lucana film commission & Mrf5 film), road movie (con Infantino protagonista ma anche co-sceneggiatore), presentato in anteprima al Bif&st come evento speciale lo scorso 27 aprile , seguito poi da un concerto-tributo. «Antonio è stato il primo a cui ho dato la notizia dell’invito al Festival – ricorda il regista di origini palermitane – Era molto contento. Ma pochi giorni dopo è arrivata la notizia della sua morte, lo scorso 30 gennaio». 
Quale delle tante definizioni coniate per lui ne sintetizzano meglio la personalità?
«Sono tutte valide. La sua era una genialità complessa, come quella di alcuni artisti rinascimentali. Si occupava al contempo di musica, architettura, astrologia, matematica, fisica e biologia. In questo lavoro con lui e su di lui, ho cercato non di tessere le sue lodi ma di individuarne l’originalità. Una è già nel titolo del film, il suo essere “trickers”, giocoliere, capace di straordinarie performance senza perdere la dimensione cialtronesca tipica del “dietto”, figura sociale importante nella storia dell’umanità, che illuminava scherzando. E che lo avvicinò, tra gli altri, a Dario Fo».
Il tratto distintivo della sua musica?
«È riuscito in un’operazione di minimalismo assoluto, con un accordo e mezzo è andato avanti per 40 anni, creando uno stile unico, penetrante e indimenticabile, rendendo un merito incredibile a una concezione astorica del tarantismo, primordiale e pitagorica. La sua musica, peraltro, come tutto il suo agire, è un omaggio straordinario alla Lucania, la sua terra (è vissuto a lungo a Tricarico, nel Materano, ndr), vicino Metaponto, dove nel VI secolo A.C. nasce il pensiero occidentale. È stato un eroe del Sud migliore, non revanchista ma nobile, capace di (tornare a) insegnare al mondo. La sua natura di scienziato, poi, gli ha dato la capacità di cogliere subito l’estetica, di individuare una direzione in modo molto originale. È stato anche un grande poeta del 900. E poi uno sciamano, quasi profetico nel percepire le cose prima degli altri, come è evidente soprattutto nella malinconia delle sue canzoni lente, in diversi modi di interpretare, vestire, apparire e rifiutare consuetudini».
Anche per questo non ha raggiunto la notorietà che avrebbe meritato.
«Non è stato un vincente nella vita, rispetto ai canoni sociali tradizionali. Il sistema ti accoglie se ti fai portare dentro. Lui era fuori. Lo diceva spesso. Il tarantolato è l’uomo che riesce a entrare in uno stato di libertà».
La stessa libertà che si respira in «The Fabulous Trickster».
«Sì. Infantino non si poteva raccontare in modo lineare. Era improvvisazione. Un fiume in piena. Apriva subordinate, faceva ampie virate coi pensieri. Abbiamo scelto, così, di costruire il film su un piccolo viaggio, tra Roma, Tricarico e Roccella Ionica, raccontando l’ultimo Infantino, già col velo in testa e invecchiato, in frammenti di vita condivisa, nella sua realtà, tra pensieri, amici e concerti, ma facendo anche viaggi nella memoria, di esperienze all’estero fatte insieme, senza pretendere però di essere esaustivi».
Dopo l’anteprima, i personaggi del film sono «scesi» dallo schermo sulla scena del Bif&st, per regalare un’ora di concerto in suo omaggio.
«Sì. Tanti nomi noti e amici di Infantino avrebbero voluto partecipare ma ho preferito restare solo con i personaggi del film, i suonatori di cupa cupa - strumenti tradizionali della Basilicata e tra gli emblemi della musica di Infantino - diretti da Agostino Cortese, suo collaboratore da 40 anni. I tarantolati di Tricarico (che fondò nel 1975, ndr). Canio Loguercio. Andrea Satta, cantante dei Tête de bois. Francesco Loccisano. E Badara Seck. Io suonerò in trio con Antonello Salis e Riccardo Fassi. Mentre l’attrice Monica Berardinelli ha letto le poesie di Antonio, tratte da “Succhà” e “I denti cariati e la patria”».

Giuseppe Daponte
Speciale Bif&st, Corriere del Mezzogiorno, aprile 2018

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