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Krief: «Vi presento il mio Rigoletto, un festino diventato un incubo»


L'opera in scena al Petruzzelli dal 31 maggio al 10 giugno
«Il teatro è rispetto delle regole, non è caos e burocrazia»


Corriere del Mezzogiorno

BARI - Un anno fa, da Bari, annunciò che avrebbe lasciato l’Italia. «Un Paese che amo, ma nel quale è difficile fare teatro», denunciò Denis Krief durante le recite del Barbiere di Siviglia di Rossini. Adesso vive a Berlino. E nel Paese dove ha soggiornato per trent’anni, lui - artista immigrato dalla cultura cosmopolita - torna in Italia da «straniero» per un nuovo allestimento nel Petruzzelli, il Rigoletto di Verdi in scena da venerdì prossimo (otto recite sino al 10 giugno) che ieri mattina, domenica, è stato introdotto nel foyer del teatro dal musicologo Giovanni Bietti per il tradizionale ciclo «Lezioni d’Opera». La direzione musicale sarà di Carlo Rizzari, con i baritoni Stefano Antonucci e Yanni Yannissis a dividersi la parte del titolo, mentre interpreti tutti giovani (selezionati col Progetto Opera Nuova) canteranno negli altri ruoli. A differenza del Barbiere di Siviglia andato in scena a Bari nell’aprile 2012, che era una ripresa di Cagliari, questo Rigoletto è una produzione nuova di zecca del Petruzzelli. Ed è la prima che il regista franco-tunisino firma in Italia da allora.
Krief, in questi mesi il suo giudizio negativo sui nostri teatri è cambiato?
«Non saprei. So soltanto che il teatro può decidere della qualità del mio lavoro. E nel commissario Fuortes ho trovato sinora una figura di garanzia. Non mi piace lavorare nel caos e nell’anarchia. Il teatro è organizzazione. Il denaro non c’entra. C’entra invece il rispetto delle regole. E nei teatri italiani spesso bisogna lottare contro la burocrazia. Poi può anche darsi che il mio teatro sia inadatto a certe strutture».

Non al Petruzzelli, evidentemente.
«Ho trovato il clima giusto e la possibilità di lavorare in sala prove, un luogo magico dove si può studiare l’opera a fondo. Perché il teatro d’opera è cultura, non show-business. Ma è una storia vecchia. Del resto nell’Ottocento i francesi s’inventarono il grand-opéra. Che non a caso a Verdi non piaceva».

Rigoletto è la storia di uno stupro?
«Direi che è la storia di un suicidio, quello di Gilda che si sacrifica per il Duca. Dal quale a mio avviso non è stata violentata. È suo padre Rigoletto che chiede vendetta. Lei, invece, chiede perdono, grazia. È innamorata del Duca, del quale indossa il pigiama quando esce dalla stanza e si ritrova faccia a faccia col padre in una scena molto imbarazzante. Insomma, Rigoletto è la storia di un festino iniziato bene e finito nell’incubo. Con la protagonista che decide di farla finita, in modo sublime, come Emma Bovary. Siamo al limite del fatto di cronaca».

In effetti di festini sono piene le cronache italiane. Ma il potere che ruolo gioca nel suo allestimento?
«I politici li ho lasciati da parte. Ero più interessato ad esaltare i risvolti di un’opera straordinariamente colta, nella quale si passa dalla commedia più triviale al teatro alto. Ho cercato di trattare tutto con molta leggerezza, come in un film della nouvelle vague. Ma ci sono, per chi avrà voglia di coglierli, altri riferimenti cinematografici, da Ginger e Fred a Hitchcock: la locanda di Sparafucile somiglia al motel di Norman Bates in Psycho».

Insomma, un allestimento attualizzato.
«Di certo non potrei realizzare lo stesso Rigoletto che hanno visto i nostri nonni. Siamo nel 2013, e l’opera deve parlare la lingua di oggi. Ho cercato di vedere i personaggi attraverso gli occhi di un Verdi che per il Duca seduttore pensa a Don Giovanni e per Rigoletto al Prospero nella Tempesta di Shakespeare. Ma soprattutto ho cercato molto l’allusione. Le uniche cose che vengono palesemente mostrate sul palco sono la scena con la prostituta Maddalena, la banda e un complesso d’archi che ho introdotto sul Minuetto».

Ma Rigoletto è un’opera moderna?
«Non sono in grado di valutarlo. Posso solo dire di aver cercato di raccontare una storia che oggi possa essere considerata plausibile. Del resto siamo in pieno naturalismo, il romanticismo non c’è più né siamo di fronte alle bizzarrie di un’opera barocca».

Stravinskij diceva che c’è più musica ne La donna è mobile che in tutta la Tetralogia di Wagner.
«Non mi sembra la migliore pietra di paragone. Siamo di fronte a una canzone che oggi sarebbe buona per il Festival di Sanremo».

Quale lezione da Rigoletto?
«Visto che il teatro è illusione, con un paradosso mi viene da dire "non fatevi illusioni"».

Francesco Mazzotta
27 maggio 2013

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