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Otello al Petruzzelli. Sconsigliato agli spettatori di sinistra.



BARI - Ha inaugurato l'annuale cartellone della Stagione della Fondazione Petruzzelli l'“Otello” di Giuseppe Verdi, penultima opera del maestro di Busseto, di cui quest'anno si celebra il bicentenario dalla nascita (il 10 ottobre). La musica del maestro e il libretto di Arrigo Boito, tratto dall'omonima tragedia di Shakespeare, scandaglia l'animo dei personaggi e restituisce loro un'umanità degna di pietà.

Se la magia dell'opera si è ripetuta ieri al Petruzzelli come la prima volta, nel 1887, al teatro alla Scala, il merito va anche agli attori in scena sul palco barese. In particolare agli americani Clifton Forbis, tenore nei panni di Otello, e soprattutto Julianna Di Giacomo, soprano nel ruolo di Desdemona, capaci di trasportare sulle ali della loro voce il pubblico nel turbine di passioni dell'opera, nel rapido involversi di un'estasi d'amore nel tormento di una cieca gelosia. La stessa interpretazione di Jago (di Claudio Sgura), fedele al libretto di Boito, non appiattisce il personaggio sul male assoluto ma, coerentemente, gli conferisce un profilo umano e di ineffabile strumento del destino. Superbe le luci di Andrius Jankauskas. Ottima la prova d'orchestra della canadese Keri-Lynn Wilson a capo della giovane Orchestra del Petruzzelli.

Malgrado ciò, la scommessa della Fondazione è persa, almeno ai nostri occhi. Merito della regia di Eimuntas Nekrošius. Essenziale e povera quanto le scenografie e i costumi, perché così è di moda. E si riesce anche a risparmiare, in tempi di magra, soprattutto per il teatro.

Si può anche accettare la sperimentazione e l'amputazione dei simboli di contesto per fare di necessità virtù. Si può anche spegnere l'intorno magari per esplorare meglio il pathos sotto i riflettori. In questo caso, però, l'intorno, oltre che spento, è stato anche di ingombro. Non solo per la sua incomprensibile bruttezza, a tratti prossima a una comicità involontaria, vedasi i sacchi lanciati a turno in uno pseudo bidone per la differenziata o anche il duello con spade di luce (pesanti lanterne) che faceva vagamente eco alla saga di Guerre stellari.
Ma anche perché l'intorno è diventato centro, ingombro che ha finito per confinare - ed è qui che il lavoro del regista si merita la stroncatura - spesso il cuore della scena e dell'opera, quasi metà spettacolo e soprattutto il momento clou, della tragica fine di Desdemona e Otello, a sinistra del palco anziché al centro, quasi dietro le quinte. Una disdetta per molti spettatori a sinistra del palco che, per quanto paganti, si sono dovuti accontentare di immaginare il tutto. Un errore marchiano, sull'Abc di un'arte che nasce per coccolare ed emozionare il pubblico. E che a volte si traduce nel suo opposto, in un mestiere autoreferenziale.
Giuseppe Daponte

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