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La politica degli autori: Kim Ki-duk

La politica degli autori: Kim Ki-duk:
Un eccentrico regista dal cinema simbolico ed iperbolico.


martedì 11 settembre 2012 - Mauro Gervasini

Il più discusso cineasta del momento è coreano, gira vestito come un Don Chisciotte post atomico, ha la faccia simpatica e la voce intonata, nel caso gli si chieda di cantare. Kim Ki-duk (20 dicembre 1960) ha vinto il Leone d'oro alla 69. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia con Pietà (dal 14 settembre in sala distribuito da Good Films) suscitando clamore, divisione, entusiasmo. Il suo cinema non è mai stato per tutti, e ha la memoria corta chi si è scordato l'accoglienza turbolenta di L'isola, sempre alla Mostra di Venezia, nel 2000. Non dovrebbe essere un carneade neanche per i critici (improvvisati e non) dei principali quotidiani italiani, dato che molti suoi film hanno vinto premi internazionali e sono usciti in Italia; eppure viene trattato come una mina vagante, un eccentrico folletto, spesso dimenticando la natura provocatoria e allegorica del suo cinema. In Pietà un brutale personaggio, esattore della malavita specializzato in mutilazioni, si convince in un battere di ciglia che la donna misteriosa al suo cospetto possa essere sua madre. Da qui un rapporto malato e (pseudo) incestuoso che nasconde un freddo e sconvolgente proposito di vendetta. Criticare il film perché il violento teppista non ha dubbi sulla "madre", scegliendo quindi il realismo come solo criterio di lettura, è come rifiutare Star Trek perché è impossibile teletrasportare le persone nel tempo e nello spazio. Il cinema di Kim è simbolico per definizione, procede per iperboli, può casomai essere accusato di una certa furbizia programmatica proprio per la complicata geometria narrativa delle storie, ma non ridotto alle esigenze di superficiali interpretazioni "logiche". Continua »

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