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Guarire dalla crisi con pillole di cultura


BARI -   Con la cultura in Italia non solo «si mangia» ma si frenano anche gli effetti devastanti della crisi economica. In Puglia, però, l’incidenza dell’industria culturale (film, video, radio-tv, software, musica, libri e stampa), creativa (architettura, comunicazione, design, artigianato e arte) e del patrimonio storico artistico (musei, biblioteche, archivi e gestione di luoghi e monumenti storici) sul totale dell’economia regionale è ancora la più bassa a livello nazionale. È quanto emerge dall’indagine Excelsior condotta da Unioncamere e Ministero del Lavoro.
Secondo il rapporto, nel 2011 in Puglia si sono contate 22.810 imprese culturali (il 5,1% del totale nazionale), una ogni 179 pugliesi. Fanno peggio Sicilia e Campania, entrambe con una media di una su 181 abitanti, regioni che pure al Sud contano il maggiore numero di aziende (rispettivamente 27.682 e 33.035). Ma la Puglia è lontana dalle prime della classe, Lombardia (84.106, un’impresa ogni 118 abitanti) e Lazio (51.248, una ogni 114 abitanti). E soprattutto, le sue «fabbriche della cultura» costituiscono solo il 5,9% del totale dell’economia regionale, la percentuale più bassa (condivisa con la Campania) a livello nazionale. La parte del leone, anche qui, la fanno Lombardia e Lazio, rispettivamente prima con l’8,8% e seconda con l’8,4%. Il dato pugliese è più basso anche rispetto alla media nazionale (7,3%) e meridionale (6,1%).
Questo ritardo, culturale ed economico, rallenta inevitabilmente la risposta della regione alla crisi. In Italia, infatti, secondo il rapporto Excelsior, saranno 32.250 le assunzioni previste quest’anno nel settore (22.880 non stagionali). Le imprese della cultura nel 2011 hanno mostrato una buona tenuta: il numero di occupati, dal 2007 al 2011, è cresciuto a un ritmo medio annuo dello 0,8 a fronte di una flessione dello 0,4% all’anno per l’economia nazionale. La tendenza si è confermata quest’anno: pur arretrando per la congiuntura (-0,7% il saldo occupazionale dal 2011) le imprese culturali si stimano più solide di tutte le altre (-1,2%). Il motivo fondamentale è stato spiegato lo scorso giugno dal Rapporto annuale Federculture 2012: la spesa annua delle famiglie italiane per cultura e ricreazione  nel 2011 è cresciuta del 2,6% dall’anno precedente (70,9 miliardi di euro). In un decennio (2001-2011) l’incremento di questa voce di spesa è stato del 26,3%, non interrotto nemmeno nell’ultimo periodo di crisi (tra il 2008 e il 2011 +7,2%). E la spesa degli stranieri in Italia segue a ruota.
«Purtroppo - ha detto il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello – da noi è ancora diffusa l’idea che con la cultura non si mangi. Ma i successi del Made in Italy discende dalla nostra cultura del fare e del vivere, vengono da questo patrimonio inesauribile. Dobbiamo recuperare il senso economico e sociale della cultura, per supportare le produzioni di eccellenza e dare opportunità di lavoro ai giovani».
Secondo l’indagine, la domanda di lavoro delle imprese culturali è molto orientata verso professionisti di alto profilo (ben 7 su 10). Nel settore, rispetto ad altri, è più facile ottenere un contratto a tempo indeterminato. Conta il titolo di studio ma vale ancora di più l’esperienza. Le figure più richieste? Analisti e progettisti di software, professionisti dell’audiovisivo, tecnici di vendita e marketing, disegnatori industriali e, dulcis in fundo, gli artisti della cucina, gli chef.
Giuseppe Daponte

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