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Rifiuti (anno) zero


Con la Rivoluzione industriale ci siamo dati un modello economico e produttivo “lineare”, in cui per estrarre materie prime e produrre beni spendiamo energia e produciamo inquinamento di aria e acqua, anidride carbonica (causa del cambiamenti climatici) e rifiuti (che per buona parte distruggiamo o sotterriamo). Questo modello non è sostenibile a lungo in un mondo a risorse limitate, spiega Paul Connett, ordinario di Chimica alla St Lawrence University di New York.

Parte da questi presupposti la strategia Rifiuti zero entro il 2020 (ideata da Connett e presentata, tra l’altro, anche alle Nazioni Unite e al Parlamento europeo) ed elabora un nuovo schema, “circolare”, da sostituire gradualmente a quello “lineare”. Se, infatti, si riciclano i “rifiuti” non si torna ad estrarre nuove materie prime. Se si riusano, non si producono nuove merci. Ciò ci fa risparmiare energia, emissioni e rifiuti, che oggi produciamo in ben due fasi (estrazione e produzione) del sistema “lineare”.

“Il nostro compito – ha detto Connett lo scorso gennaio ad Altamura (Bari), tappa dell’ultimo suo tour mondiale, una delle 200 della sua 49esima visita in Italia (la prossima è in agenda il primo maggio) - non è trovare modi migliori per distruggere gli scarti ma arrestare la produzione di imballaggi e prodotti destinati alla distruzione. I rifiuti non sono un problema tecnologico ma di strategia, di organizzazione, educazione e progettazione industriale, che chiama in causa comunità, politica e industria”.

Utopia? “Il 50% dei rifiuti – ricorda Connett - non sono più distrutti o sotterrati in 2000 Comuni italiani, 200 hanno raggiunto quota 70%. Il Sud paga un ritardo culturale? Nemmeno: non si spiegherebbero casi virtuosi anche in Puglia, come a San Pancrazio salentino, dove la differenziata ha raggiunto il 70% (dal 7% di un anno fa), o a Polla, in Campania, dove è al 93%. Nelle città più grandi è più difficile? San Francisco, negli Usa, con una popolazione doppia rispetto a Bari, è al 75% e punta al 100% entro il 2020”.

La strategia rifiuti zero, sancita dalla Zero International Alliance, prevede la messa al bando di sistemi estranei al modello “circolare”, come l’incenerimento (anche inquinante) e le megadiscariche (per rifiuti tal quali e non “stabilizzati”), e individua le tappe per centrare l’obiettivo rifiuti zero (che, peraltro, fanno crescere a livello locale impresa e posti di lavoro). Dal ’95 hanno aderito gruppi come Toyota, Wall Mart, Nike e Xerox, e diverse città nel mondo (soprattutto in Australia, Nuova Zelanda, Usa e Canada). In Europa ci credono di più Regno Unito e Italia. Qui, grazie anche all’iniziativa dell’associazione Ambiente e Futuro di Lucca, le adesioni continuano a crescere. Per ora sono 27 i Comuni (tra cui 11 in Toscana, 4 in Campania, 3 in Emilia Romagna, nessuno in Puglia) – in totale quasi 423 mila abitanti – che hanno approvato la delibera rifiuti zero.

Il primo tra gli italiani e anche il più popoloso (46.000 abitanti), Capannori (Lucca), distretto cartario più importante d’Italia, si è dotato pure di un Centro di ricerca, il primo del genere in Europa, che monitora e studia il “rifiuto residuo”, non riciclabile o compostabile e fornisce feedback al mondo della produzione, perché non lo produca più. Per far questo si serve di un comitato scientifico di docenti universitari ed esperti, che propone soluzioni concrete di riprogettazione industriale. Non solo: punta a censire le buone pratiche in Italia e all’estero per metterle a disposizione anche di altri Comuni italiani.

g. d.

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