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Checco Zalone, l'uomo sbagliato al punto giusto

Gennaio 2010

di Dapis


Sbarca e sbanca anche nel cinema il fenomeno Luca Medici, 32 anni, di Capurso (Bari), laureato in legge, meglio noto come Checco Zalone (non a caso assonante con “che cozzalone”, versione barese di “che tamarro”).
Molti prevedevano un flop per il suo primo film, Cado dalle nubi, storia di un cantautore neomelodico barese in cerca di successo a Milano (dove va incontro a una serie di gaffes, come quella di cantare il suo pezzo forte, inconsapevolmente omofobico, “Uomini sessuali”, in un locale gay o quella di scambiare i leghisti per calabresi che festeggiano la sagra del peperoncino verde). Per questo aveva incassato tanti “no” dal mondo del cinema la scommessa di portare nelle sale il suo personaggio da cabaret, tanto ignorante e ruspante da potersi permettere di essere irriverente senza salire per questo in cattedra. Qualcuno però gli ha dato credito. E per Checco è arrivata la rivincita.
In Italia al botteghino il suo film ha incassato 14 milioni di euro, il terzo miglior risultato tra i film natalizi dopo Natale a Beverly Hills e A Christmas Carol e, per ora, l’ottavo nella stagione 2009-2010 e il secondo tra gli italiani. Qual è il segreto di questo successo, se si può rivelare…
«Non era nelle nostre mire restare nelle sale fino a Natale. Pensavamo di fermarci sui 5-6 milioni di euro di incassi. Il successo del film? Ci sono tante ingenuità. Ma la sua forza è nell’entusiasmo dell’opera prima. E riesce a far ridere. Di recente abbiamo organizzato una proiezione nel carcere minorile “Fornelli” di Bari. Anche lì i ragazzi hanno riso molto. La mia arma in questi anni è stata la trasversalità. Credo di essere riuscito a far divertire più generazioni, piccoli e grandi, e pubblici con diversi livelli di istruzione. Credo che paghi anche il non prendersi troppo sul serio».
Il film ha diviso la critica. Paolo Mereghetti ha scritto che voi, sceneggiatori (lei e il regista Gennaro Nunziante) e produttore (Pietro Valsecchi), avreste ripulito troppo la comicità sfoggiata da Checco a Zelig. È così?
«Le critiche fanno sempre bene, soprattutto se di Mereghetti. Se parla male di un film, va benissimo. Quindi mi auguro che continui così. Mi ero posto il problema se nel grande schermo fosse opportuno riutilizzare argomenti scabrosi o legati al sesso. Alla fine ho deciso di rinunciare a certo repertorio, dalle “pugnette” ai luoghi comuni sui “ricchioni” (omosessuali, ndr), ad altre parolacce, per provare a far ridere in modo diverso. È stato questo, secondo me, il punto forte e non debole del film. Anche perché, così, hanno potuto vederlo pure i bambini di sei anni».
A Checco Zalone gli “Uomini sessuali” non sono tanto simpatici.
«Forse teme ciò che non conosce... È vittima di pregiudizi ma, come Povia, cerca di essere positivo. Ha scritto quella canzone proprio per devolvere i proventi allo studio della “malattia” dell’omosessualità».
E a Luca?
«Naturalmente io e Gennaro non abbiamo pregiudizi. Piuttosto, temevamo di urtare la sensibilità dei gay».
Nunziante ha descritto Cado dalle nubi come “un piccolo film tra Blake Edwards e la commedia all'italiana”. Qualcuno l’ha definita il Borat delle Puglie. I più temerari notano che le sue canzonette in italiano storpiato ma tanto credibili nell'esecuzione ricordano Totò, che metteva di buonumore modificando il senso delle parole.
«Mo non sim esageran (non esageriamo, ndr), anche se certi paragoni mi lusingano. Sono l’unghia del mignolo di Totò. È vero però che mi piace giocare con il linguaggio sgrammaticato. È molto grottesco se si sbaglia in modo giusto, scusa l'ossimoro».
Prego. Analogie a parte, qual è il suo artista preferito?
«Sono un fan sfegatato di Massimo Troisi. Gli invidiavo molto il talento. Aveva una genialità e una mimica che lo rendono unico, come unici sono i suoi film, anche se il ritmo lento del montaggio li rende oggi non più riproponibili».
È vero che sul set improvvisava e spiazzava gli altri attori, più abituati a seguire il copione?
«In effetti qualcuno sembrava in imbarazzo. Ma tutti avevano qualcosa che io non ho: la tecnica e l'esperienza. Soprattutto Ivano Marescotti. Spesso sono stati loro a incoraggiarmi perché seguissi l’istinto».
Per il critico Francesco Alò del Messaggero il suo personaggio ha successo perché ruffiano: strizza l’occhio agli amanti della musica neomelodica e a chi la odia, a leghisti e non ecc.
«La ruff… qual è il sostantivo di ruffiano? La ruffianeria non la vedo. In genere cerco di sfatare miti come il pianista Allevi o Jovanotti. Non mi piace sparare sulla croce rossa ma colpire i mostri sacri. Paradossalmente quelli che ammiro di più».
D’accordo, ma Checco a Milano tramuta in urina l'acqua del Po custodita nell’ampolla padana. Ha simpatie leghiste?
«No, in quel caso no. Forse perché nel film prendo per… i fondelli non tanto la Lega quanto i vizi o gli stereotipi del Sud, come i falsi invalidi, la venerazione per le orecchiette ecc. Forse sono stati proprio i leghisti quelli che hanno riso di più della scena in cui confondevo Alberto da Giussano, il guerriero simbolo dei padani, con un power ranger. Mi hanno detto che su quella battuta ci sono state esplosioni di risate nelle sale del Nord Est».
Qualcuno tra loro avrà anche riflettuto sul tema dell’unità nazionale?
«No. Non aspiriamo a tanto. Volevamo solo far divertire, senza cadere nel cliché dello scontro Nord-Sud».
Peccato. Visto come il suo film ha surclassato Barbarossa, la pellicola sulla mitologia leghista, qualcuno forse già pensava a lei per fondare una Lega Sud. Che simbolo suggerirebbe?
(ride) «Barbarossa lo hanno battuto tutti. Non è una grande vittoria. L’idea della Lega Sud però non è male, come simbolo possiamo mettere Antonio Cassano!».
Sta già pensando a un altro film?
«Sì. Solo pensando però. A grandi linee c'è già un'idea. Ma non posso dire di più. Ci siamo molto divertiti. Sull’onda dell’entusiasmo abbiamo deciso di puntare ancora sul cinema. Anche se sarà difficilissimo bissare il successo. Sento già l’angoscia».

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