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La terra degli uomini rossi - Birdwatchers




di Marco Bechis. Con Abrisio da Silva Pedro, Alicelia Batista Cabreira, Claudio Santamaria, Matheus Nachtergaele, Ademilson Concianza Verga, Ambrosio Vilhava, Chiara Caselli, Fabiane Pereira da Silva, Eliane Juca Da Silva, Inéia Arce Gonçalves, Luciane Da Silva, Nelson Concianza, Poli Fernandez Souza. Genere Drammatico, colore 108 minuti. - Produzione Italia, Brasile 2008. - Distribuzione 01 Distribution

Brasile. Mato Grosso do Sul. Occidentali su un motoscafo percorrono un fiume che solca la foresta amazzonica. Appostati sulla sponda, nudi e agghindati come se per loro il tempo non scorresse mai, alcuni Guarani-Kaiowà, uno dei popoli autoctoni che abitano il polmone verde del mondo.

Comincia così la Terra degli uomini rossi, diretto da Marco Bechis. Sin dalla prima inquadratura il regista porta lo spettatore al di là dello stereotipo, l’immagine iniziale naif svela subito l’inganno. Quegli indigeni non sono fuori dalla storia ma ne sono stati risucchiati. Sono lì non per caso ma perchè (sotto)pagati per ambientare il tour di alcuni turisti. Sono parte integrante della categoria mondiale dei vinti, degli irrilevanti, ormai spodestati dai fazendeiro, i nuovi proprietari della loro terra. All'arrivo degli europei erano un milione e mezzo. Piuttosto che sopravvivere nella riserve, molti si sono aggrappati all’alcol, altri hanno scelto di morire. Oggi sono circa 30mila. In meno di trent'anni, fra loro ci sono stati più di 500 suicidi, in prevalenza giovani.

La macchina da presa più volte si sofferma sui suicidi, su corpi che pendono dagli alberi che la coltivazione intensiva della terra ha risparmiato. Ma anche su quelli che resistono, e salutano i morti con un risentimento rituale che a malapena copre il dolore e la pietà.

Bechis racconta una storia inventata, eppure tragicamente vera, quasi un documentario antropologico. Nadio, il capo e il saggio del gruppo (ma alcolista), è interpretato da Ambrosio Vilhalva, un Guarani- Kaiowà di 45 anni che davvero ha riportato i suoi nelle loro terre antiche da cui i fazendeiro li hanno cacciati, e che davvero ne ha preteso la restituzione. Da 4 anni attende la decisione dello Stato, proprio come vorrebbe il suo Nadio. Con Nadio, altri Guarani-Kaiowà scelgono di rialzare la testa, di non accettare il ruolo affibbiato loro dal capitalismo selvaggio.

Tra questi, Osvaldo (Abrisio Da Silva Pedro), che a 19 anni si impegna a diventare sciamano facendo suonare la sua mbaracá, come gli insegna il nonno (Nelson Concianza). Osvaldo si lascia guidare dall’amore e per questo infrange regole religiose e travalica i confini delle classi sociali amando la figlia del fazendeiro.

Ma quando la forza del denaro prende il sopravvento su quella dei sentimenti, a Osvaldo non resta che urlare la propria disperazione. I vinti di questo capitalismo (o dell’innato cinismo umano) non possono salvarsi da soli. E anche lui è tentato dal suicidio.
Bechis focalizza un tema poco battuto in un mondo che riserva i riflettori generalmente ai vincitori. Qui, il suo principale merito è il coraggio e lo sforzo di andare al di là del proprio naso, come non si fa spesso in Italia. Per questo si può chiudere un occhio sulla macchinosità dell’impianto narrativo, della sua punteggiatura, sulla difficoltà di coinvolgere emotivamente lo spettatore nonostante la drammaticità del tema, forse nel timore di cadere in un eccesso opposto, nella retorica e nel pietismo. Sul saper raccontare, il cinema italiano purtroppo ricomincia spesso da zero, ancora pochi sono in grado di rileggere i “classici” in chiave moderna.

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