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COME IL PANE... PUGLIESE


“L’acqua, la cosa più comune, qui la vendono; ma il pane è buono veramente, tanto che il passeggero scaltro suole farsene provvista per il viaggio”. Nel I sec. a.C. Orazio elogiava in questo modo il pane di un insediamento nel territorio della odierna Puglia, lungo la via Appia, una delle vie di comunicazione più importanti dell’antichità.

Il Tavoliere ha contribuito in modo determinante a rendere questa regione una terra d’elezione per la cerealicoltura: qui si preparano oltre cento tipi di pane, con trecento varietà di frumento, fra grano tenero e duro, per un consumo da record rispetto al resto d’Italia, ben 200 grammi di pane a testa.


Molte varietà pugliesi si presentano brune, ben cotte, salate o quasi amare e con una crosta ruvida e saporitissima. A Canosa, addirittura, si sforna il “pan-a-presutto”, fatto con grano tostato sulle stoppie, in cui la pasta imbrunita si intreccia a quella leggermente ocra del grano duro. Il colorito più scuro della prima, che ricorda lontanamente il prosciutto, spiega il nome di questa tipicità.


Ma il pane più noto fuori dai confini regionali è sicuramente quello di Altamura, il primo prodotto in Europa a fregiarsi del marchio Dop nella categoria merceologica “panetteria e prodotti da forno” (2003). Costituisce una sorta di testimonianza “vivente” dell’antica cultura contadina, del rito con cui le donne lo preparavano in casa, che cominciava con la lievitazione dell’impasto sotto il letto matrimoniale, per proseguire con la segnatura con il marchio di famiglia e la cottura nel forno pubblico. Si prepara in pagnotte, da mezzo chilo o da cinque chili, con grano duro coltivato e lavorato in cinque comuni della Murgia nord-occidentale. È cotto nel forno a legna. Prima di sfornarlo, viene fatto “respirare” aprendo la bocca del forno per circa cinque minuti, così che la crosta si asciughi e diventi sufficientemente croccante. La sua mollica, color crema, ha un’omogenea alveolatura. Si mantiene fragrante anche per quindici giorni. Una volta secco, infatti, il pane è utilizzabile per preparare la “cialledd”, piatto tradizionale pugliese, nel quale è bagnato in un brodo di verdure varie, cipolle, aglio, e condito con olio e peperoncino.


Altro capolavoro della cucina pugliese è la frisella, una ciambella croccante le cui origini risalgono intorno al X sec. a.C., all’epoca della civiltà Fenicia. I mercanti, in quel tempo, erano soliti consumare simili ciambelle scure di grano durante le loro navigazioni. Le ammorbidivano con acqua di mare e le insaporivano con olio d’oliva. Successivamente, la frisella è sopravvissuta nel corso dei secoli non soltanto grazie alla sua bontà ma anche per ragioni economiche: una pagnotta si conservava per oltre una settimana ed eventuali avanzi erano abbrustoliti nei forni o sulla brace del camino. Oggi si contano diversi tipi di friselle, oltre a quelle tradizionali, si possono trovare quelle di grano duro, d’orzo e di farina integrale.


Se la famiglia del pane pugliese è numerosa, si immagini quante siano le delizie affini e le ricette in cui il pane è l’ingrediente base. Qui possiamo darne solo un piccolo assaggio: nel territorio barese focaccia, focaccia di patate, calzone (focaccia ripiena di cipolle), puddica; nel brindisino pizza di verdura e panzerotti; nel tarantino pizza di patate e frittelle di patate alla tarantina; nel Salento, puccia, sfogliata con olive e acciughe, e taralli. Naturalmente dal grano si ricava un altro “piatto forte” della gastronomia pugliese, la pasta. Ma questo è un capitolo a parte.

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